My personal lockdown

 


Il mio lavoro ha un proprio apice in primavera, momento straordinario per la crescita delle piante e, quindi, degli orti educativi. Purtroppo, è anche il momento giusto per seminare un prato, soprattutto la parte iniziale di questa bella stagione. Proprio per questo motivo le ultime primavere, forse le ultime dieci – quindici, sono state teatro di un certo magone ogni volta che guardavo il mio prato o, meglio, ciò che ne rimaneva in due lembi del terreno che circonda la casa in cui vivo. Per ragioni molto diverse, entrambe quelle porzioni di terra del prato avevano più la destinazione che l’aspetto. Alla fine di ogni primavera mi chiedevo come fosse stato possibile non trovare il tempo e le energie necessarie per lavorare la terra, interrare un po’ di fertilizzante, distribuire un po’ di semi, dare acqua e far nascere un prato decente. La tentazione tornava in autunno, ma il timore di pesanti piogge, soprattutto per uno dei due lembi, mi ha sempre frenato. Aggiungevo, a parziale giustificazione, il fatto che, in caso di fallimento, per mesi mi sarei tenuto un distesa di fango. Primavera dopo primavera e autunno dopo autunno, non ho potuto far altro che biasimare e assolvere me stesso per quei lembi di prato mancati.

Poi è arrivata la primavera del 2020, quella nata mentre il lockdown era già iniziato, sebbene fossimo ancora in una fase di studio dei fatti e della realtà, del tempo sospeso. Quando ho capito che quella condizione che mi costringeva a casa senza lavoro non sarebbe stata di breve durata, e pur con i limiti di reperimento di ciò che sarebbe servito dovuti proprio alle restrizioni imposte dal governo, ho capito che, sì, era giunta l’occasione propizia: avevo il tempo e quasi tutti i mezzi e avrei potuto seminare.

Quasi come se non mi rendessi conto che stava finalmente accadendo, ho prima vangato una metà del settore di prato che si trova nella porzione sud del giardino. A causa della presenza di un bell’esemplare di Ginkgo biloba, soprattutto delle sue radici, il lavoro non è stato facile: un po’ di vanga, in alcuni punti la zappa, in altri poco più che una grattata superficiale col rastrello. Poi una frenetica ricerca nella scatola che fino a qualche settimana prima mi accompagnava in nidi e scuole e, finalmente, un lancio di semi di prato e il successivo interramento. Timoroso degli sfrenati attacchi degli uccelli, ghiotti di semi, ma dimentico delle formiche, ho poi coperto tutto con delle reti a maglia fine e annaffiato. Mentre uno dei più grandi furti collettivi di semi aveva inizio, ho cominciato a valutare la possibilità di ripetere l’operazione sulla seconda metà. Però non avevo semente. Così, durante uno dei viaggi consentiti per l’approvvigionamento alimentare, sono passato dal negozio di articoli per agricoltura e giardinaggio più vicino e ho acquistato nuovi semi e dell’ammendante. Poche ore di lavoro e quel settore del prato era tutto seminato. Ormai l’entusiasmo era alle stelle, il tempo c’era e anche il lembo di prato posto a nord della casa è stato vangato, zappato e rastrellato per poi procedere alle semina. In quel caso, niente alberi, quindi un lavoro agevole teso a far scomparire sotto terra il troppo muschio, che denuncia qualche difficoltà futura per il nuovo prato, e a disporre i semi per il verde che sarebbe venuto.

È passato qualche mese, i lembi di prato ricostituiti sono verdi e le cure proseguono, soprattutto con cospicue irrigazioni a causa della perdurante siccità. Il prato seminato ha una netta prevalenza di specie microterme che ora soffrono e ingialliscono un po’, ma con la fine dell’estate il verde intenso tornerà.

Oltre a cambiare l’aspetto del giardino (mia figlia un giorno ha candidamente ammesso di non ricordare un vero prato in quelle posizioni), sono cambiate le domande. Una di quelle nuove è questa: c’era veramente bisogno del lockdown per trovare il tempo per questi lavori? Se la risposta fosse “sì”, ne nascerebbe (e ne nasce) subito un’altra: se per risolvere alcune delle cose che nella vita si incagliano serve il lockdown, perché non ne scegliamo i tempi, perché non ce lo imponiamo? Sì, se quel prato verde è bellezza e, anziché la frustrazione di un tempo, provo una certa soddisfazione nel vederlo, perché non mi sono dato un lockdown per godermi questo risultato? Come si suol dire, è inutile piangere sul latte versato. Però, non si può continuare a versare il latte e dirsi che non si può piangere.

Cosa intendo dire? Che io una lezione dal rifacimento di questi lembi di prato l’ho imparata: nella vita ci sono situazioni in cui dobbiamo avere la forza del lockdown, di staccare dalla routine, da ciò che sembra convenire, che pare essere necessario. Quale drammatico cambiamento ci sarebbe stato nella mia vita sottraendo al lavoro e ad altre dinamiche due giorni per rifare il prato? Nessuno, salvo avere un bel prato verde già qualche anno fa. E quanti prati verdi esistono o potrebbero esistere nelle nostre vite, se ogni tanto ci concedessimo un lockdown personale? Quante belle giornate con i nostri cari, quanti gesti che ci regalano soddisfazione, quanti lavoretti rinviati perché non prioritari, quanti dipinti, passeggiate, risate, rischiamo di lasciare sul campo, se non ci concediamo dei lockdown?

Sì, è deciso: io avrò altri mie personalissimi lockdown, di quelli che salvano la qualità della vita, più che le vite della nostra collettività.


[brano scritto nella tarda primavera del 2020]

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